Le storie di Mang: Padre Giomo

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Introduzione

Era il 1970 quando, finito il servizio militare il 29.12.1969, il mio Akela (il mitico Antonio
Ostroni) mi lasciò il branco “Edelweiss” di Gorizia ed io da Mang diventai Akela.
A luglio partimmo per il campo e, non riuscendo a trovare altri capi che fossero disposti ad
aiutarmi, mi rivolsi a Fabio Zotti che allora aveva 16 anni e a Giacomo che ne aveva 14 e
così partimmo con tutto il branco per Lorenzago di Cadore.
Veramente la casa che i Gesuiti di Gorizia avevano a Lorenzago era ben lontana dal paese
perché scendendo dal passo della Mauria a circa metà strada, proprio di fronte ad una
baracca usata come rivendita di vino con una grande scritta “Orfeo”, inizia, a destra, la
stradina che porta sul posto e proprio sulla prima curva si trova la targa con scritto “Villa
Clarenzia”.
Fatto circa 1 km di strada si arriva ad un pianoro che domina tutta la valle e da dove si vede
in basso il paese di Lorenzago e, dall’altra parte della valle, Lozzo di Cadore.
Nel lontano 1970 all’inizio del pianoro c’erano ancora le rovine della Villa Clarenzia con la
sua bella scalinata e la scala che in fondo al corridoio scendeva nelle cantine e saliva ai
piani superiori.
Nelle altre case dall’altra parte del grande prato, che originariamente erano delle
dependans della villa, i gesuiti avevano ricavato la cucina, la sala da pranzo e le camere.
Noi però fummo sistemati in un’altra casa “Villa Miramonti” che si trova all’inizio del bosco
dietro il pianoro. Aveva 8 scalini di legno un piccolo terrazzo e la porta d’ingresso di legno
spessa circa 15 centimetri con solo la maniglia senza la serratura. Dentro aveva una stanza
sulla sinistra, una strettissima scala a chiocciola sulla destra che portava ai due piani
superiori e, in fondo al corto corridoio le scale che scendevano in cantina.
Mi sono soffermato a fare tutta questa descrizione perché nel giro di poche ore quel luogo
darà il via a tutta la storia.
Infatti, appena i lupetti presero possesso delle diverse stanze (ognuna conteneva al
massimo 6 lupetti) e noi tre capi ci sistemammo nell’ultimo corridoio al 2 piano in uno
spazio di poco più di 1 metro e mezzo, qualcuno trovò scritto sotto un cassetto di un comò
una frase misteriosa e, subito imitato da tutti gli altri, di frasi strane ne trovarono
tantissime. Sotto le poche sedie, dietro gli appendiabiti attaccati al muro, nella battuta
interna delle porte, sulla parte interna delle gambe di un tavolo tutte con quasi le stesse
parole:
Padre Giomo che tu sia maledetto – Padre Giomo ci hai fatto morire di fame – e altre sullo
stesso tono.
Noi capi non abbiamo dato molto peso alla cosa e abbiamo portato tutti a fare un primo
giretto esplorativo nel grandissimo bosco dietro la casa ma quando siamo tornati i lupetti
hanno cominciato a gridare che erano scomparsi dei cuscini.
Premetto che erano altri tempi ma io sono uscito fuori con in mano una baionetta e una
roncola e, neanche a farlo apposta, proprio in quel momento 5 ragazzi della colonia
passavano davanti alla nostra casa. Io ne ho presi, abbracciandoli, due per il collo e li ho
accusati di aver rubato i cuscini. Loro dissero che non ne sapevano niente e che mai
avrebbero rubato dei cuscini. Io però, sicuro che erano stati loro, mi feci accompagnare
nelle loro stanze e presi tutti i cuscini che potevo dai loro letti. Ancora adesso non mi
spiego come mi abbiano lasciato fare senza troppe proteste. Forse mi avevano visto
arrabbiato o forse più che il tono di voce servirono la baionetta e la roncola.
Passati circa 10 minuti ritornai alla “Villa Miramonti” camminando con un po di difficoltà:
Baionetta, roncola e circa 10 cuscini da tenere abbracciati mi impedivano non solo di
camminare ma anche di vedere.
Gli otto scalini di legno della Villa li feci con grande difficoltà e con alquanto rumore in
quanto lo spazio occupato dai cuscini era maggiore di quello a disposizione. Arrivato sul
piccolo terrazzo spinsi leggermente la porta ma questa non si aprì e allora, non
immaginando niente, diedi una spinta molto forte – sentii qualche cosa cadere a terra e
vidi la porta aprirsi.
Adesso, a distanza di 53 anni ho ancora ben chiara nella mente la scena che mi comparve
davanti.
Fabio e Giacomo, dopo che ero andato via con i ragazzi stretti al collo, si erano barricati in
casa con i lupetti. Quelle scritte, i cuscini mancanti, il loro capo che era partito ben
armato…
fatto sta che avevano messo un pala a bloccare la porta della casa e loro erano tutti riuniti li
ad aspettare. Sentire quei passi pesanti su per le scale, vedere che qualcuno cercava di
entrare e poi la pala che cadeva a terra e la porta che si apriva e questo essere che entrava
tutto coperto di cuscini… IL TERRORE.
Lupetti che salivano su per la strettissima scala a chiocciola subito a destra inciampando e
salendo uno sopra l’altro – molti che si lanciavano nella stanza a sinistra gridando come
matti e un ultimo gruppo in fondo al piccolo corridoio che si buttava giù per la scala della
cantina con Fabio che si lanciava sopra di loro.
Calmati gli animi e distribuiti i cuscini restava solo il mistero di quelle scritte ma era una
occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire e così la sera del giorno dopo iniziai a
raccontare la storia di Padre Giomo senza immaginare delle richieste di delucidazioni da
parte dei genitori dei lupetti impauriti una volta finito il campo e del fatto che quella storia
la raccontai prima a Gorizia e poi anche al Branco Edelweiss di Udine per molti anni a
seguire.

La storia di Padre Giomo

Oggi sono sceso a Lorenzago, per prendere il pane, e poi sono andato nell’osteria proprio di
fronte alla chiesa ma dall’altra parte della strada e chiesi notizie su Padre Giomo. Ma come
dicevo Padre Giomo tutti sbiancavano in faccia e se ne andavano spaventati oppure
rispondevano dicendo: non so niente ma la voce tremava per la paura. Alla fine quando
disperavo di avere qualche notizia mi sono avvicinato ad un tavolo dove c’erano due
vecchietti che stavano bevendo e anziché chiedere notizie di Padre Giomo ordinai un fiasco
di vino. Quel vino ha fatto proprio l’effetto che mi aspettavo perché i due vecchietti,
sottovoce e guardandosi sempre attorno, prima mi chiesero se avessi notato che nel paese
non si vedevano bambini, e poi cominciarono a raccontarmi quello che anch’io adesso
racconto a voi.

Ettore Muti

Era il 1942 durante la seconda Guerra Mondiale quando Ettore Muti, che allora aveva 40
anni, un fisico super sportivo, occhi verdi, era alto 1.80 cm, aveva combattuto nella 1°
Guerra Mondiale falsificando la data di nascita in quanto minorenne, con D’Annunzio aveva
partecipato alla marcia su Fiume, era entrato negli arditi e poi fascista, era stato anche
campione di nuoto, aviatore e aveva combattuto in Abissinia e in Spagna guadagnando 1
medaglia d’oro, 10 d’argento e una di bronzo, come mai nessun altro soldato aveva fatto e
che dal 1939 al 1940 aveva ricoperto l’incarico di Segretario del Partito Fascista, decise,
essendo senza impegni ufficiali, di comperarsi una bella casa lontano da tutti. Chiamò i suoi
uomini e li mandò in giro per l’Italia a cercare quanto di meglio ci fosse. Quando
ritornarono con le fotografie delle case che avevano visto, Ettore Muti si innamoro della
foto di Villa Clarenzia nel pianoro sopra Lorenzago di Cadore.
Con due macchine, lui e i suoi uomini, partirono per Lorenzago.
Arrivarono che era già sera e alloggiarono nell’albergo di fronte alla chiesa con sotto il bar
dove ero andato anch’io. Ma prima di dormire andarono a bere qualche cosa e già che
c’erano Ettore Muti con in mano la foto di Villa Clarenzia chiese ai pochi avventori qualche
notizia ma nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. Ettore Muti si arrabbiò perché non era
abituato a non trovare risposta ma quelli scapparono via tutti e anche il barista non si fece
trovare.

Villa Clarenzia

Il giorno dopo riprovò nuovamente ma nessuno voleva parlare allora Ettore Muti e i suoi
uomini montarono sulle due macchine e presero la strada per il passo della Mauria e poi
girarono a sinistra quando videro la targa “Villa Clarenzia”. Fatto il chilometro in mezzo al
bosco comparve davanti al loro il bellissimo pianoro con la Villa e sulla destra le
dependance (Villa Miramonti non era visibile in quanto nel bosco anche se solo a 200 metri
di distanza sulla destra). Uno spettacolo stupendo. Ettore Muti era proprio soddisfatto.
Scesero tutti dalle due macchine e andarono proprio di fronte alla Villa ai piedi della
scalinata. Davanti a loro la bellissima villa con ai lati le due pseudo torri di cui una con la
punta a campanile e dietro di loro tutta la valle con Lorenzago e le montagne dall’altra
parte che sembravano incorniciare una cartolina da fiaba. Salirono la scalinata di marmo
ma non avevano fatto neanche tre scalini che sentirono dall’interno della casa dei passi. Ma
non erano passi normali sembravano fatti da qualcuno enormemente pesante perché il
rumore era come degli scalini di legno che si piegassero per il peso. I suoi uomini corsero
subito alle macchine a prendere le pistole, i mitra e le bombe a mano, il coltello da arditi lo
avevano sempre con se.
Qualcuno disse a Ettore Muti di andare via che forse quella villa era stregata ma Ettore non
ne volle sapere. Arrivato davanti alla porta notò subito che era ricoperta da ragnatele come
se non fosse più stata aperta da chissà quanto tempo. Ma allora quei passi?
Non volle pensarci su e con decisione aprì la porta. Davanti a loro videro il largo corridoio
con 2 stanze a destra e due a sinistra e in fondo le scale che portavano al piano superiore e
in cantina.
Con grande precauzione e le armi in pugno entrarono nella prima stanza a destra. Un bel
salotto e poi in quella a sinistra. Uno studio con una grande scrivania, una poltrona e
alcune sedie. Sulla scrivania c’era un libro aperto tutto coperto di povere che Ettore Muti
spostò con una mano. Era scritto in cirillico e una delle due pagine aperte era ricoperta di
sangue.
Andiamo via che è meglio dissero le sue guardie ma Ettore Muti non ne volle sapere. Avanti
con l’ispezione.
Le altre due stanze erano una la dispensa e l’altra la cucina. Ma proprio allora sentirono un
rumore dalla cantina. Uscirono sul corridoio con le armi in mano e scendendo per le scale
di legno si accorsero che queste erano spesse oltre 10 cm e che non scricchiolavano
neanche con due persone sopra.
La cantina era la copia del piano di sopra solo che era in penombra per non dire quasi buia:
un corridoio e 2 stanze a destra e due a sinistra. Ettore Muti fece segno a una sua guardia
con il mitra di avvicinarsi alla prima stanza. Questi, stando rasente al muro del corridoio,
sporse il mitra e fece partire una breve raffica. Non si sa mai e poi guardarono dentro ma
oltre a mobili vecchi e altre cianfrusaglie non c’era nessuno.
Fece la stessa cosa con la stanza a sinistra ma con lo stesso risultato. Allora, piano piano,
senza far rumore, si avvicinarono alla terza stanza, quella sulla destra. Non si vedeva quasi
niente e non si sentiva nessun rumore. L’uomo con il mitra si avvicinò piano piano alla
porta strisciando lungo il muro e poi di colpo allungò il mitra per fare fuoco all’interno ma
una mano enorme spuntò fuori e prese il mitra per la canna piegandolo come un fuscello.
Ettore Muti, velocissimo, la colpì con il suo coltello ma la lama si ruppe con un rumore
metallico. La mano scomparve all’interno delle stanza. Allora i suoi uomini lanciarono
all’interno 2 bombe a mano che scoppiarono con un frastuono terribile. Subito entrarono
dentro sparando all’impazzata nella nuvola di fumo che si era formata con le due
esplosioni. Quando il fumo diminuì poterono vedere tutto lo sconquasso che si era
formato. Mobili, tavolini, sedie, coperte, attrezzi tutto rotto a brandelli ma della persona
nessuna traccia.
Cercarono dappertutto ma niente. Nè il corpo e neanche una traccia di sangue.
“Andiamo via” dissero i suoi uomini “Questo posto è maledetto”
Ma Ettore Muti guardando con attenzione nell’angolo estremo vide un chiodo che sporgeva
in fuori e che non era arrugginito ma lucido e brillante. Allora lo prese in mano e provò a
piegarlo prima a sinistra e poi a destra ma niente allora lo piegò in basso e davanti a lui si
aprirono due piccole aperture sull’angolo della stanza. Un tunnel alto circa 80cm e largo
circa 60 tutto buio che puntava verso il monte. Ettore Muti disse ai suoi uomini di andare
all’esterno per controllare che nessuno fuggisse via, si fece dare una pila e un nuovo
pugnale, oltre alla sua pistola, e nonostante le preghiere dei suoi di andarsene si infilò nel
camminamento sotterraneo.
Nel cunicolo poteva avanzare solo stando piegato e con molta difficoltà ma, grazie alla pila,
poteva vedere che il cunicolo era diritto davanti a se e che non c’era nessuno. Fatti circa
200 metri il cunicolo si univa ad un altro che non era orizzontale ma verticale. Ettore Muti
decise di non scendere ma di salire gli scalini scavati nella terra come una scala a chiocciola
solo che erano alti circa 50cm. Fatti circa 12 metri vide sopra di se una botola quadrata di
legno. Con grande precauzione e la pistola in pugno l’aprì piano piano. Era nella cantina
nella Villa Miramonti, vicino al bosco a circa 200 metri da Villa Clarenzia. Salì al piano terra
e uscii all’aperto. Due suoi uomini, con le armi in pugno, gli corsero incontro dicendogli di
aver visto una figura nera alta oltre 2 metri che, uscita dalla casa, è corsa su per il bosco
veloce come un cervo.
Ettore Muti con i suoi ritornarono all’albergo a Lorenzago. I suoi uomini lo pregarono di
ritornare subito a Roma e di lasciar perdere questo posto ma Ettore non ne volle sapere e
scese nel bar sotto l’albergo per chiedere spiegazioni.
Rimase colpito quando alla sua richiesta di spiegazioni, pur sapendo con chi avevano a che
fare, tutti gli avventori non dissero niente e uscirono dal locale. Solo uno rimase seduto al
suo tavolo con la bottiglia davanti. Ettore Muti gli si avvicinò ma questi prima che parlasse,
sottovoce, gli disse: “Sono il nonzolo (sagrestano) della chiesa, vieni da solo nella cripta
questa notte a mezzanotte. Io ti aspetterò.” e uscì anche lui.
Quando Ettore Muti salì nelle sue stanze i suoi uomini gli dissero che nel paese si era sparsa
la voce che due taglialegna erano stati trovati sul monte con la gola tagliata e lo pregarono
nuovamente di ritornare a Roma. Ma non ci fu niente da fare.
Quella sera dopo aver cenato Ettore Muti attese la mezzanotte e quando mancavano pochi
minuti uscì senza far rumore. Attraversò la strada deserta, la piccola piazza e arrivò alla
chiesa di Lorenzago dove, alla base del campanile, c’era la cripta dove portavano i morti
prima del funerale. Ettore Muti non poteva sbagliare perché in quella notte buia con le
nuvole che sembravano appoggiate per terra e quella leggera pioggerellina che ti bagna
dappertutto, la luce che proveniva dalla piccole finestrella verticale di 20cm per 40 della
cripta era come la luce di un faro. Si avvicinò e guardando dalla finestrella vide il nonzolo
seduto di spalle davanti al catafalco usato come un tavolo con una candela accesa sopra.
Aprì la porta di legno spessa 10cm ed entrò salutando. Siediti, disse il nonzolo e lui si
sedette dall’altra parte del catafalco con la faccia verso la finestrella. E il nonzolo cominciò a
raccontare:
“Era circa la metà del 1400 quando in questo paese arrivò un principe russo con tutto il suo
seguito. Era fuggito dalla città di Novgorod in quanto una setta diabolica stava uccidendo
tutti i nobili.
Lui cercava un luogo sicuro lontano dal mondo dove poter vivere in pace. Non si fermò nel
paese se non il tempo di cercare e trovare un pianoro dove poter costruire la sua nuova
casa. Una casa in pietra a due piani più la soffitta con ai lati due torri alte come il tetto con
una che finiva con quella punta a cipolla che si vede ancora adesso nei campanili delle
chiese dei paesi del nord. Aveva una scalinata di marmo e la cantina che occupava tutto lo
spazio delle casa e le cui piccole finestre erano a livello del terreno.
Oltre alla casa per la sua famiglia fece costruire anche le stalle per i cavalli e le mucche e
poi la dependance per la servitù e Villa Miramonti per accogliere qualche eventuale ospite.
Passarono gli anni, il principe era invecchiato ma viveva in pace con tutta la sua famiglia
quando, nel 1492, qualcuno in paese disse di aver visto un uomo alto oltre due metri vestito
con una tunica nera che correva nei boschi. La gente credette che avesse bevuto troppo ma
il principe quando senti queste notizie si allarmò moltissimo. Raccomandò a tutti i suoi servi
di stare in guardia, di girare armati, di non uscire di notte, di tenere vicino le bestie.
Tutto inutile: scomparvero due servi e vennero ritrovati con la gola tagliata, poi 4 mucche
uccise nel boschetto vicino Villa Clarenzia e poi, uno dopo l’altro, tutti fecero la stessa fine e
per ultimo il principe russo ucciso nel suo studio.
Da quel giorno nella Villa non abitò più nessuno ma ogni 50 anni dal paese di Lorenzago
spariva un bambino di circa 10 anni e più volte qualcuno continuava a vedere un uomo
vestito di nero che correva nei boschi.”
“Ma come si chiama questo personaggio?” chiese Ettore Muti senza accorgersi che una
figura nera era comparsa per un istante davanti alla finestrella.
Il nonzolo alzò la testa per dire il nome quando ZACH!!! un coltello di circa 30 cm lanciato
dalla finestrella entrò nella stanza e colpì il povero nonzolo alla schiena. Ettore Muti saltò
fuori con la pistola in pugno ma vide solo una figura nera che scappava in lontananza con
salti enormi. Rientrò nella cripta con il nonzolo morente accasciato sul catafalco con il
coltello nella schiena, e sollevandogli delicatamente la testa: Dimmi il suo nome! E questi
morendo: “…Padre Giomo…” e spirò.
Ettore Muti ritornò nella sua stanza ma non riuscì più a dormire.
La mattina del giorno dopo, quando in paese tutti parlavano della terribile morte del
nonzolo, Ettore Muti raccontò ai suoi uomini l’avventura notturna e della sua intenzione di
scoprire tutta la verità e, a questo scopo, dell’intenzione di scendere nel cunicolo di Villa
Miramonti. I suoi uomini continuarono a dissuaderlo ma inutilmente e allora si offrirono di
scendere anche loro nel cunicolo ma Ettore Muti disse che era troppo stretto per poter
dare o ricevere aiuto e che da solo sarebbe stato più libero di muoversi in caso di bisogno.
“Restate in paese e state pronti a tutto, io vado al pianoro attraverso il sentiero.” E così
fece.
Arrivato a Villa Clarenzia percorse ancora i 200m fino alla Villa Miramonti e, saliti gli otto
scalini entrò nel piccolo atrio per poi scendere in cantina dove, sollevata la botola di legno,
con grande precauzione, cominciò a scendere nel cunicolo verticale. Aveva difficoltà a
camminare per davanti perché gli scalini erano alti ben 50cm e allora, ogni tanto, si girava e
scendeva a ritroso.
Dopo 12 metri vide la diramazione orizzontale del cunicolo che portava a Villa Clarenzia ma
lui continuò a scendere. Sembrava di andare all’inferno perché quel cunicolo non finiva
mai.
“Chissà chi lo ha scavato e in quanto tempo” pensava Ettore Muti mentre continuava a
scendere un poco per davanti e molto per dietro. Era già passata oltre mezz’ora e, in quel
momento Ettore stava scendendo camminando per dietro con la pila che illuminava il
percorso appena fatto quando andò a sbattere contro la parete.
Si voltò e vide che il cunicolo aveva finito di scendere e adesso proseguiva in orizzontale.
Allora si mise quasi carponi perché il cunicolo era alto non più di 80cm e quando stava per
illuminare il percorso con la pila vide in lontananza un piccolo bagliore. Allora spense la pila
e prese in mano la pistola e, piano, piano, senza far rumore iniziò ad avanzare. Avanzò per
circa 100 metri e quando, finalmente, arrivò in una stanza lunga circa 10 metri, larga 5 e
alta 3. non c’era nessuno ma sia a destra che a sinistra c’erano dei catafalchi con sopra i
corpi di 11 persone e in fondo un piccolo mobile basso con dentro delle ampolle, un libro e
sopra una lanterna accesa.
Ettore Muti, nel tenue chiarore delle lanterna, osservò gli 11 corpi mummificati con
addosso una tunica nera di oltre 2m. Erano tutti con la bocca aperta come se stessero
urlando e con e mani a mo’ di artigli ma il primo era diverso da tutti gli altri perché era altro
oltre 2 metri ed era enorme mentre tutti gli altri erano molto più piccoli come se fossero
persone normali pur avendo la tunica lunga come il primo. Allora si avvicinò al piccolo
mobile in fondo alla cavità e, aperta la porta vetrata, prese il libro. Era scritto in cirillico ma
Ettore Muti aveva studiato un poco il russo e riusciva a capire qualche cosa.
Era una specie di diario che iniziava nel 1400 quando a Novgorod una setta diabolica
voleva uccidere tutti i nobili e aveva creato una pozione che dava una forza sovrumana ai
suoi componenti.
Siccome il principe russo era riuscito a fuggire al primo Padre Giomo fu dato l’incarico di
rintracciarlo e ucciderlo con tutti i suoi. Cosa che, anche se dopo tanti anni, riuscì a portare
a termine ma, quel primo Padre Giomo, non ritornò più a Novgorod ma rimase a Lorenzago
e rapì il primo bambino di circa 10 anni per istruirlo in modo da prendere il suo posto dopo
10 anni e continuare la sua opera di morte.
Costruì anche una specie di scafandro di acciaio che lo faceva diventare alto oltre 2 metri e
forte come il primo Padre Giomo grazie alla pozione che gli aveva insegnato a produrre.
Ettore Muti era tutto intento a cercare di capire quello che era scritto nel libro che non
pensava ad altro ma ad un certo punto vide la fiammella della lanterna piegarsi
leggermente come se ci fosse stato un leggerissimo colpo d’aria. Chiuse i libro, si guardò
attorno e poi velocissimo rifece i 100 metri in orizzontale che lo separavano dal cunicolo
con le scale a chiocciola e quando fu li sotto sentì distintamente il rumore profondo,
pesante, terribile di qualcuno che stava scendendo e, siccome era tanto grande spingeva
l’aria davanti a se. PADRE GIOMO!!!!!
Non aveva finito di pensare che sentì un urlo e poi, come un ghigno: “Stò arrivando! Non
mi scappi più!”
Ettore Muti ritornò indietro nella caverna dove c’erano i corpi degli altri Padre Giomo e
cominciò a cercare se c’era una botola, una qualsiasi aperture per fuggire ma niente.
Alla fine si avvicinò al mobiletto basso con sopra la lanterna la cui fiammella continuava a
muoversi e vide che si piegava sempre verso il retro del mobiletto come se lì ci fosse uno
sfogo d’aria. Allora con una spinta spostò il mobiletto e dietro c’era l’ingresso di un cunicolo
alto circa 80 cm come quello di Villa Clarenzia.
Ettore Muti non perse tempo e accesa la pila si lanciò al suo interno. Avanzava più
velocemente che poteva ma la posizione era molto faticosa e già due volte andò a sbattere
con la testa contro qualche sasso sporgente ma questo non lo faceva rallentare perché
sapeva, dopo aver letto il diario, che Padre Giomo poteva muoversi con estrema agilità pur
essendo così grande.
E’ proprio mentre faceva queste considerazioni che sentì l’urlo di Padre Giomo che era
arrivato nella caverna e aveva visto che Ettore Muti si era infilato nel cunicolo dietro il
mobiletto: “Non mi sfuggi. Questo cunicolo non porta da nessuna parte.”
Quando Ettore Muti sentì queste parole pensò di fermarsi e affrontare Padre Giomo ma poi
si chiese: E se per caso Padre Giomo sta dicendo una bugia? E allora continuò a fuggire.
Fatti pochi metri, però, non vide una roccia che sporgeva a mezza altezza e andò a colpirla
con la mano dove aveva la pila che, cadendo per terra, si ruppe. Al buio più completo non
perse tempo e continuò ad avanzare colpendo ogni genere di asperità che lo ferirono ai
fianchi, alla schiena e alla testa ma non aveva tempo per pensare a questo. La sua corsa al
buio però non durò a lungo perché poco dopo andò a sbattere violentemente contro un
parete di roccia.
Probabilmente il Padre Giomo che aveva costruito quel cunicolo sotterraneo una volta
trovata quella roccia aveva deciso di fermare lo scavo. Ettore Muti si sentì perso. Sentiva in
lontananza il respiro bestiale di Padre Giomo che avanzava velocemente. Non aveva
bisogno della pila perché vedeva al buio come i gatti e, sentendo che Ettore Muti non
avanzava più gridò: “Sei arrivato in fondo! Non puoi più scappare!”
A queste parole Ettore Muti si girò in modo da avere la faccia verso il nemico e tornò un
pochino indietro per avere un po’ di spazio per poter arretrare e schivare i colpi. Sapeva di
non avere molte speranze di successo ma lui era un grande combattente che non aveva mai
indietreggiato di fronte al nemico.
Avanzò per circa 10 metri quando oltre al respiro di Padre Giomo sentì un altro rumore. Nel
buio più assoluto si sentiva anche un lievissimo rumore costante. Acqua pensò Ettore Muti
e velocissimo appoggiò un orecchio al suolo.
Si, è proprio acqua che scorre. Provò ad avanzare ma il rumore diminuiva e allora arretrò
piano piano sempre con la testa abbassata a livello del terreno fino a quando il rumore,
anche se lieve, era più forte. Se c’è un fiume che scorre sotto terra da qualche parte dovrà
pur uscire ed io che sono stato campione di nuoto…
In un attimo con il coltello in una mano cominciò a colpire la terra mentre con l’altra
toglieva la terra smossa. Ad ogni colpo con il coltello seguiva l’altra mano. Il ritmo era
forsennato perché il respiro di Padre Giomo si faceva sempre più forte.
Con il coltello per due volte colpì per sbaglio l’altra mano ma questo non lo fece rallentare.
Sentiva il rumore dell’acqua che scorreva sotto di lui sempre più forte e questo gli dava la
carica. Ad un certo punto il pugnale si infilò nella terra come se fosse nel burro. Aveva
raggiunto l’acqua. Subito iniziò a girare il coltello nella terra per allargare il buco. Alzò la
testa e vide davanti a se, in lontananza, due puntini luminosi. Erano gli occhi di Padre
Giomo che avanzava. Ormai il suo respiro che assomigliava ad un ghigno lo sentiva
benissimo. Ettore Muti sempre guardando questi due puntini luminosi che si avvicinavano
continuò ad allargare il buco sopra il fiume sotterraneo.
“Sei morto!” Gridò Padre Giomo quando era a circa 10 metri.
Il buco era largo si e no 20cm e poteva entrarci al massimo un piede ma non certo Ettore
Muti.
Allora smise di scavare, puntò i piedi nel buco, sollevò la schiena contro il soffitto del basso
cunicolo e cominciò a spingere con tutte le sue forze.
Padre Giomo era ormai a meno di 5 metri di distanza e, oltre ai due occhi infuocati che
sembravano i fari di una macchina, potè vedere anche la bocca rossa come il sangue e poi
quando era a circa 2 metri anche la lama bianca di un coltello di oltre 30 cm che si alzava
per colpirlo.
Proprio in quel momento Ettore Muti fece uno sforzo terribile e sentì che la terra stava
cedendo e, di colpo, la terra sotto di lui scomparve nell’acqua e con la terra anche Ettore
Muti che fece in tempo a sentire la lama del coltello di Padre Giomo che gli sfiorava la testa
mentre stava cadendo.
Appena caduto nelle gelide acque sotterranee venne trascinato via dalla corrente. Il canale
sotterraneo dove l’acqua scorreva era largo circa un metro e sopra c’era un po’ d’aria per
respirare. Ettore Muti teneva le mani in avanti per precauzione e cercava di toccare il
soffitto per sentire se c’era sempre un po’ di aria. In queste condizioni e naturalmente nel
buio più completo percorse velocissimamente circa un chilometro quando si accorse che il
canale si stava restringendo sempre di più e lo spazio occupato dall’aria era ormai ridotto a
pochi centimetri.
Allora piegando la testa fece un grandissimo respiro e poi via cercando di spingersi avanti
con le mani. Ma il cunicolo si stringeva sempre di più e, fatti pochi metri, rimase bloccato
con le spalle mentre l’acqua dietro di lui non passava più. Ettore Muti pensò di essere
arrivato in fondo alla sua vita quando la forza della pressione data dall’acqua che di dietro
spingeva per passare lo fece partire in avanti come un tappo di spumante. Lui perse i sensi
colpendo le pareti di quel cunicolo d’acqua.
Mezz’ora dopo due donne arrivarono trafelate all’albergo di Lorenzago e dissero che nel
piccolo laghetto sotto il paese dove sbocciava una cascata che usciva dalla montagna e
dove loro con anche altre donne stavano lavando il bucato, era caduto fuori il corpo del
loro capo che era gravemente ferito ma non era morto. I suoi uomini in meno di 30 secondi
stavano già arrivando sul posto con le due macchine e preso Ettore Muti che era ancora
svenuto e tutto coperto di ferite, lo caricarono in macchina e partirono per Roma.
Pochi giorni dopo, a Lorenzago di Cadore un bambino di circa 10 anni venne rapito ma
nessuno ne seppe più niente.
Passò un anno, la guerra per l’Italia andava male e quando il 25 luglio 1943 il Duce Benito
Mussolini venne destituito e poi arrestato e al suo posto il Re mise il generale Pietro
Badoglio, Ettore Muti si ritirò nella sua villa di Fregene alle porte di Roma.
E fu li che nella notte del 24 agosto 1943 si presentarono i carabinieri con l’ordine di
arrestarlo.
Ma mentre stavano camminando nel parco un individuo con una tunica nera gli arrivò alle
spalle.
Dicono che sia morto per un colpo di pistola sparato mentre cercava di fuggire ma il suo
corpo aveva la gola tagliata con un coltello di almeno 30 cm.
Nel 1992, un giornale del Veneto riportò la notizia di un bambino di 10 anni scomparso a
Lorenzago e chissà se nel 2042 la cosa di ripeterà.

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Giorgio Marassi